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Recesso e Risoluzione

Giugno 20, 2023by studioferraris
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Può capitare, anche abbastanza frequentemente negli ultimi anni, di sentir parlare di contratti che vengono conclusi prima della loro naturale scadenza.

Si tratta dell’esercizio di un diritto potestativo, cioè il prevedere la possibilità riconosciuta alla parti contrattuali di venir meno dall’accordo al verificarsi di determinate condizioni.

Per riferirsi alla chiusura anticipata del contratto, spesso viene fatto riferimento a termini quali “risoluzione”, “recesso” del contratto o anche “rescissione” del contratto, intendendosi l’uso degli stessi come un sinonimo.

Da un certo punto di vista è quello che avviene, perché in tutte e tre le fattispecie il risultato che si determina è quello di interrompere i rapporti tra le parti.

Tutto questo in termini evidentemente impropri.

Pur essendo tre concetti simili, infatti, ci sono tra gli stessi delle enormi differenze, dovute alle ragioni che hanno portato allo scioglimento del contratto.

Ma andiamo con ordine e vediamo di capirne di più.

RECESSO

È la facoltà prevista, in favore di una o di entrambe le parti di un accordo, di interrompere il contratto.

Si tratta di una manifestazione di volontà per mezzo della quale una parte decide di far venir meno con effetto immediato il rapporto.

Tutto questo nel rispetto dei termini previsti.

Dal momento in cui il diritto di recesso viene esercitato, infatti, nulla è più dovuto tra le parti reciprocamente.

COME ESERCITARE IL DIRITTO DI RECESSO?

Viene previsto per legge, oppure all’interno di una specifica clausola del contratto per mezzo della quale, al verificarsi di determinate condizioni, si può recedere dal contratto.

A titolo esemplificativo:

  • Si può recedere dal contratto per espressa previsione di legge (ad esempio, il diritto di recesso entro il termine di 14 giorni per gli acquisti effettuati on line senza alcuna motivazione, oppure la possibilità prevista in favore del lavoratore subordinato di recedere dal contratto, fatto salvo il preavviso);
  • Si può recedere per espressa previsione contrattuale (ad esempio un contratto di consulenza che viene concluso anticipatamente da una delle parti dando congruo preavviso).

RISOLUZIONE

La risoluzione del contratto è, invece, una causa di scioglimento del rapporto conseguente ad un problema sorto durante l’esecuzione del contratto oppure in conseguenza della condotta di una delle due parti contrattuali.

L’effetto della risoluzione è retroattivo, il che significa che il contratto è come se non fosse stato mai concluso.

Qui si nota subito la prima differenza rispetto al recesso, con tutte le conseguenze del caso.

In un contratto con prestazioni reciproche, infatti, la parte contrattuale che abbia ricevuto un qualcosa è tenuta a restituirla all’altra.

A titolo esemplificativo: un pagamento effettuato in anticipo per un’opera non eseguita deve essere rimborsato.

COME RISOLVERE IL CONTRATTO?

Al pari di quanto già visto per il diritto di recesso, anche per la risoluzione esistono diverse ipotesi, che si elencano di seguito.

RISOLUZIONE DI DIRITTO

Può essere invocata in tutti quei casi nei quali le parti:

  • Pattuiscono una determinata “clausola risolutiva espressa” al verificarsi della quale il contratto si risolva;
  • Stabiliscono un termine essenziale per adempiere decorso il quale, in caso di inadempimento il contratto si risolve;
  • Quando la parte non inadempiente chiede l’adempimento mediante diffida ad adempiere (ossia far sì che la parte inadempiente faccia quanto pattuito.

RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO

Nei contratti a prestazioni corrispettive (nei quali entrambe le parti si obbligano a qualcosa, come ad esempio nella vendita di un bene a fronte del pagamento di una somma di denaro), quando una parte contrattuale non adempie a quanto si è obbligata a fare, l’altra può, in alternativa:

  • può fare una causa in tribunale e chiedere al giudice di condannare l’inadempiente a darvi esecuzione (tutto questo, chiaramente, se ha interesse affinché la prestazione sia adempiuta (ad esempio ultimare dei lavori edili dentro casa per i quali si è già pagata un’ingente somma);
  • nel caso in cui se non è più intenzionato alla prestazione può chiedere al giudice la risoluzione del contratto (ossia lo scioglimento), con conseguente «ripetizione dell’indebito», ossia restituzione della somma pagata e dell’eventuale bene già ricevuto (ad esempio la merce difettosa). In più, se da tutta questa operazione ne è derivato un danno è possibile chiedere anche il risarcimento.

Quest’ultimo principio subisce, tuttavia, un’eccezione: non si può chiedere, infatti, la risoluzione del contratto se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza: (ad esempio l’acquisto di un bene di scarso valore economico).

In tali casi, invece, è possibile chiedere che il prezzo venga proporzionalmente ridotto sulla base di quanto il valore del bene è diminuito.

Come fare per risolvere il contratto per inadempimento?

Esistono tre differenti:

  • avviare un contenzioso dinanzi ad un Giudice, dare prova dell’inadempimento altrui e dimostrare la rilevanza (ossia il fatto che non sia di poco valore);
  • inviare una diffida ad adempiere, ossia richiedere in forma scritta (raccomandata o Pec) alla parte inadempiente di procedere ad eseguire la prestazione entro un termine congruo, preannunciando che, decorso tale termine senza esito, il contratto s’intenderà risolto.

In questo caso bisogna stare attenti, poiché nel caso in cui, successivamente alla diffida si sospendesse la prestazione, la parte originariamente inadempiente, citata in giudizio, potrebbe sostenere la tesi secondo la quale il proprio inadempimento non fosse così grave e, di conseguenza, avanzare la pretesa del risarcimento del danno;

  • concordare nel contratto una clausola risolutiva espressa, ossia la previsione di una clausola che, se violata, (mancata esecuzione di una o più prestazioni) determina automaticamente lo scioglimento del contratto. Situazione assimilabile a questa possono essere quelle previste per il mancato pagamento del canone di locazione.

RISOLUZIONE PER IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA

Altra ipotesi da cui può scaturire la risoluzione del contratto si ha in tutti quei casi nei quali l’oggetto del contratto diventi impossibile.

Ad esempio l’acquisto di un bene in una falegnameria che, successivamente allo scoppio di un incendio, non può più realizzare il mobile.

In questo caso il contratto si scioglie di diritto e la parte adempiente può chiedere che le venga restituita la prestazione resa.

Affinché questo tipo di risoluzione sia possibile ci sono delle caratteristiche che devono essere rispettate:

  • l’impossibilità deve essere sopravvenuta, cioè successiva alla conclusione del contratto;
  • dovuta a caso fortuito o forza maggiore, quindi indipendente dalle parti;
  • oggettiva, ossia la prestazione non è più possibile;
  • definitiva, in quanto l’evento accaduto impedisce che la prestazione possa più essere resa.

RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA

È una fattispecie che si verifica quando il contratto diventa sperequato al verificarsi di una circostanza che lo rende non più equo tra le parti, a differenza di quanto non fosse in origine.

Tra i tanti esempi che si possono fare, è possibile richiamare quanto accade nei casi di aumento eccessivo del prezzo per l’incremento del prezzo delle materie prime.

In questi casi, il prezzo finale della merce subisce un rincaro che rende un determinato prodotto non più competitivo sul mercato, facendo così venir meno il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ad esempio, se la prestazione di una delle parti diventa troppo onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili (ad esempio guerre, pandemie, catastrofi naturali), la parte che deve tale prestazione può chiedere la risoluzione del contratto.

In sostanza lo squilibrio tra le prestazioni deve essere talmente grande, da risultare eccessivo, poiché in mancanza di tale sproporzione la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta non trova giustificazione.

RESCISSIONE

Al pari del recesso e della risoluzione, anche la rescissione determina lo scioglimento del contratto.

In questo caso, tuttavia, la rescissione può essere ottenuta solamente in caso di vizio iniziale del rapporto contrattuale.

Il codice civile, infatti, prevede agli articoli 1447-1452 in maniera specifica i casi di rescissione:

  • stato pericolo, che si verifica quando una delle parti è indotta a concludere il contratto per sottrarre sé stesso o altre persone da una situazione di pericolo attuale;
  • stato di bisogno, che si ha nei casi in cui il contrato è sottoscritto per far fronte a uno stato di bisogno, che risulta essere l’elemento determinante per la conclusione dell’accordo.

In entrambi i casi, comunque, si ha una situazione di debolezza di uno dei due contraenti, della quale l’altra parte approfitta.

RIASSUMENDO, QUALI DIFFERENZE?

Da quanto indicato nell’ultimo paragrafo emerge una differenza netta tra rescissione e le altre due forme di chiusura anticipata del contratto.

La rescissione, infatti, può essere richiesta in seguito alla conclusione di un contratto che nasce di partenza iniquo per uno stato di debolezza di una delle parti contrattuali, con profittamento dell’altra.

Nel caso della risoluzione, invece, il contratto nasce valido e regolare, senza vizi, ma durante il suo corso ci sono degli eventi che lo rendono non più equo (eccessiva onerosità), impossibile (impossibilità sopravvenuta), non corretto (inadempimento di una parte).

Sia nel caso della rescissione, che in quello della risoluzione, il contratto viene meno e si parla di efficacia retroattiva, ossia il contratto è come se non fosse mai esistito.

Nel recesso, invece, a differenza che nelle altre due fattispecie, il contratto viene meno nel momento in cui viene comunicata la volontà di recedere e le prestazioni erogate andranno restituite.